I giornalisti di Studio Aperto, quando parlano di tragedie e lutti, sono maestri della personalizzazione della notizia. Ovvero una tecnica che fa leva sul superamento del confine tra critica e cronaca.
Non esiste più questa differenza. La cronaca diventa critica attraverso un pathos trasmesso attraverso il tono della voce e parole ben studiate: “Una madre dolce e apprensiva uccisa da un marito troppo spesso ubriaco”. E poi il tocco di classe: “Potrebbe esserci chiunque al posto della vittima”.
Un colpo basso, ecco. Ma efficace. Perché il questo modo il cronista buca lo schermo e chiama in causa il personaggio seduto sul divano che, nella tranquillità del suo salotto, sprofonda nel terrore.
Potresti esserci tu. Punta il dito verso di te, verso la persona che sta ascoltando. Basta parlare di Studio Aperto: questa tecnica la puoi usare anche tu, devi puntare sul persuasive blogging.
Diamoci del tu
Primo step necessario per puntare sulla personalizzazione dei contenuti: parlare alle persone. Il modo più semplice per ottenere questo risultato? L’uso della seconda persona singolare, quindi l’uso del “tu”.
Hai notato che lo uso anche io nei miei post? Funziona alla grande perché riproduce la tipica comunicazione che un individuo definisce con una persona amica, con un conoscente, con un socio.
Ed è questo che vuoi diventare, giusto? Vuoi essere percepito come l’ennesimo esperto di marketing che vuole vendere fuffa? No, vuoi parlare insieme al lettore sorseggiando un aperitivo.
E cerchi una soluzione differente? Sul serio? Pensaci bene.
L’uso di domande
Non inserisco domande a caso. I punti interrogativi nei post hanno un ruolo preciso: richiamare l’attenzione del lettore, coinvolgerlo nella conversazione, mostrare interesse per la sua opinione.
Attenzione: non fingere interesse ma trovare il modo per dimostrarlo. Il persuasive blogging non si basa sull’ipocrisia ma sulla reale attenzione nei confronti dell’opinione del lettore. Come sempre: non esagerare. Le domande risvegliano l’attenzione del lettore ma questo non vuol dire affliggere con punti interrogativi.
Equilibrio e buon senso. Ci vogliono equilibrio e buon senso nell’arte del copywriter.
L’aneddoto
I lettori amano le storie, amano gli aneddoti soprattutto quando sono targhettizzati. Cioè quando possono ritrovarsi nella tua esperienza. Iniziare un articolo con un aneddoto vuol dire catapultare il lettore in un’esperienza reale, un’esperienza che è già stata o potrebbe essere vissuta dal lettore. Ottima soluzione, vero?
Per approfondire: ecco gli ingredienti per fare storytelling.
Intercalari
Nel persuasive blogging c’è spazio per gli intercalari? Per quelle parole odiate dalle maestre? Sì, c’è spazio. Gli intercalari possono dare una mano: permettono a chi scrive di pungolare l’attenzione del lettore. Esempio apparso in questo post: “Ed è questo che vuoi diventare, giusto?”.
Attenzione: quel “giusto” non ha valore, è inutile. Ma ha una funzione espressiva, permette al lettore di immaginare una particolare enfasi su questo punto. Richiama l’attenzione e, soprattutto, umanizza il testo: rende il tutto vicino alla lingua di tutti i giorni. Anche questo è persuasive blogging.
Call to action e commenti
Conosci il valore delle call to action. Ovvero quelle frasi indispensabili per aumentare i commenti che inserisci alla fine dei post. Obiettivo? Invitare il lettore a lasciare idee e punti di vista.
Ma conosci anche un modo per personalizzare le call to action? Io di solito le inserisco in un ultimo paragrafo dedicato al riassunto: faccio il punto della situazione e contestualizzo l’imperativo. E poi mi dedico ai commenti: il persuasive blogging va oltre l’articolo e tocca le interazioni con i lettori.
Qualche consiglio? Mantieni lo stesso tone of voice, i commenti non sono una sezione separata del blog ma una protesi dei tuoi contenuti. Quindi devi mantenere la linea, devi puntare alla personalizzazione.
Per approfondire: combattiamo la crisi dei commenti sul blog.
Facciamo persuasive blogging?
Sì, sono d’accordo: facciamo persuasive blogging. Facciamo questo benedetto persuasive blogging dando la possibilità al lettore di impersonificarsi in quello che stai dicendo: bastano le parole giuste.
Sei d’accordo? Lascia la tua opinione nei commenti, approfondiamo questo tema insieme!
Ok sull’uso di una persuasione, che però chiamerei più “stimolare” con curiosità e vicinanza.
Ma non sono d’accordo con la tecnica del tiggì, che oltre ad essere poco professionale e ridondante, secondo me si rivolge ad un pubblico beota medio-basso.
I miei lettori non sono poveri!
Moz-
Lo so, i tuoi lettori non sono bassi.
Mettiamola così: quello della televisione è un esempio un po’ forzato. Però colpiscono nel segno e fanno breccia nell’interesse del proprio target. Alcuni telegiornali sono odiosi, lo so, ma sono studiati su misura per una nicchia: ci sono persone che non guardano il TG1 o il TG2: guardano Studio Aperto, ovvero una carrellata di musiche tristi, cani abbandonati, bombe d’acqua, grandi siccità e pregiudizi. Sarà un pessimo telegiornale? Forse, per te. Per una buona fetta di Italia è un ottimo telegiornale e viene scelto: questo fa vendere spazi pubblicitari.
Sì, ma nulla mi impedisce di giudicare quel rotocalco (tg è davvero un titolo immeritato) come programma per un pubblico medio-basso.
Oggi casualmente ho ascoltato un servizio del Tg4 e nemmeno lì scherzano: frasi a effetto tipo tema delle scuole medie, tono lamentoso, metafore becero-popolari per far presa su gente dalla cultura molto limitata.
Non sono esempi da seguire, secondo me.
In ogni caso, secondo me è il termine “persuasione” a poter essere visto in senso negativo (e comunque so che tu hai tutte le buone intenzioni!^^)
I lettori vanno forse più stimolati (quindi con fantasia, nuove trovate, coinvolgimenti reali) piuttosto che persuasi (che sembra a metà tra il “pregati” e qualcosa di subliminale :p)
Moz-
No, non è un esempio da prendere per quanto concerne lo stile. È un esempio (e mi prendo al responsabilità di questa frase) per quanto concerne la capacità di modellare il messaggio intorno al target.