Di Riccardo Esposito | Pubblicato il - Aggiornato il
La cattiva comunicazione è un processo di scambio di informazioni caratterizzato da mancanza di chiarezza, incomprensioni e inefficienza. Questi sbagli e incomprensioni portano a errori, conflitti e fraintendimenti tra le persone.
Ci sono tanti esempi di cattiva sbagliata da mettere in evidenza nel momento in cui ci affacciamo nel mondo della pubblica amministrazione, ad esempio nel caso della sanità o della pubblica istruzione. Perché comunicare è un’arte raffinata.
Un’arte che molte aziende curano alla perfezione, altre invece tendono a improvvisare. Ecco perché ho riunito una manciata di storici epic fail sul web e sui social network che vorrai sicuramente studiare. Da dove iniziamo?
Fertility Day, comunicazione e sanità
Indice dei contenuti
La storia del #fertilityday è questa: il ministro della salute Beatrice Lorenzin vuole avviare una campagna a favore delle nascite.
Perché l’Italia è un paese con un tasso di natalità imbarazzante. Molto basso. Questa non è una cosa buona, per niente.
Perché non istituire il #fertilityday e far partire una campagna basata sui social?
Il risultato è stato la totale banalizzazione del concetto, la colpevolizzazione dell’individuo che non ha figli (per scelta o per condizioni esterne), la trasformazione della donna in oggetto riproduttivo.
Sto esagerando? Devi leggere il copy per farti un’idea: “La bellezza non ha età, la fertilità sì”, “Datti una mossa, non aspettare la cicogna”, “Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi”. Questi sono esempi di cattiva comunicazione.
Non puoi far sentire in colpa chi non ha figli e insinuare il senso d’ansia e banalizzare una scelta. Forse le persone non sono in grado di assicurare un futuro ai figli, la precarietà che la politica ha alimentato non permette di costruire una famiglia.
Ora mi dirai: “Bravo, quindi sei uno di quelli che critica senza fare. Che esperienza hai? Riusciresti a fare qualcosa di meglio?”. Difficile fare peggio, questo è chiaro.
Non diamo la colpa al solito tirocinante, e non condanniamo l’agenzia: chi ci lavora sa come funzionano certe cose. Ci sono dei controlli, ci sono delle verifiche. Voglio dare fiducia ai colleghi: secondo me è stata voluta così questa campagna.
La seconda parte di Fertility Day
La campagna è stata annullata la distribuzione di questi lavori, non la campagna dedicata al #fertilityday. Infatti ieri il Ministero della salute ci ha riprovato.
E ha pensato di promuovere un documento per aiutare le persone a capire qual è il limite. Ha distribuito (por poi toglierlo dopo poche ore) un opuscolo con una copertina interessante. Da analizzare a fondo per arrivare a una conclusione.
Sono dei geni della comunicazione. Ora ti spiego perché. Ecco l’immagine. Provo a fare una prima analisi relativa all’espressione, alla forma del contenuto.
L’opuscolo si presenta in forma rettangolare e ha due aree distinte: nella prima c’è un gruppo di ragazzi bianchi, ben pettinati e dai tipici tratti occidentali. Poi lo scisma.
Una didascalia suggerisce che quelle sono le buone abitudini da promuovere, mentre sotto c’è il male. La bolgia infernale ti dà il benvenuto. La seconda sezione della grafica ti accoglie in un gruppo di ragazzi di etnia differente.
Cosa fa questo gruppo? Fuma, beve, fanno uso di stupefacenti. Il tutto è condito dalla seconda didascalia: questi sono gli amici da abbandonare. Anzi, i compagni.
Poi c’è la didascalia finale: gli stili di vita corretti (in grassetto) per la prevenzione della sterilità e dell’infertilità. Quindi l’immagine è composta da due foto che indicano idee differenti su come spendere la propria esistenza. Il budget disponibile?
Basso perché la qualità del lavoro sulle didascalie lascia a desiderare, e le immagini sono state acquistate per pochi euro su un sito di stock photo. Quella dei ragazzi bianchi, infatti, è usata in diverse campagne pubblicitarie di dentisti.
Italo, esempi di cattiva comunicazione
Italo ha attivato degli sconti per chi partecipa al Family day, manifestazione contro il ddl per le Unioni civili. Si tratta di una battaglia storica che chiama in causa i diritti di tante persone. E l’Italia, in questo caso, potrebbe fare un passo avanti.
Italo prende una decisione: si schiera. In modo non proprio chiaro, non alza la bandiera del Family day sul proprio sito web, ma batte cassa: inserisce una serie di sconti sulle tariffe per chi deve raggiungere il Circo Massimo entro le 12.00.
Per ottenere lo sconto basta effettuare l’acquisto online e inserire il codice FAMILY30 per avere una riduzione del 30%. Questa notizia è stata portata alla luce dalla Fan Page “Difendiamo i nostri figli” che ha sottolineato le offerte legate a Trenitalia.
Non esiste alcuna offerta dedicata #FamilyDay esistono, da tempo, offerte dedicate a gruppi
— Ferrovie dello Stato Italiane (@fsitaliane) January 20, 2016
Ma non è così. Trenitalia che ha annusato aria di guai e ha smentito immediatamente con un tweet spiegando che loro fanno sempre quell’offerta.
Il pubblico usa l’hashtag #boicottaitalo. La situazione è già diventata incandescente. E cosa fa il principale (ma anche unico) concorrente di Trenitalia? Improvvisa, perde il lume della ragione. E sottolinea solo che la gente non ha capito.
Masterpiece, cattiva comunicazione
Poi ho sentito parlare di Masterpiece, il primo talent letterario. Su Twitter ho seguito qualche discussione, ho visto che c’era un hashtag e che si parlava di scrittura.
Una giuria composta da tre autori famosi, un coach e una marea di aspiranti scrittori che hanno voglia di raccontare e raccontarsi. E magari di diventare autori di spicco, di raggiungere il grande traguardo: vivere con la propria scrittura.
Tutto deve essere spettacolarizzato. Tutto deve essere messo davanti al tavolo di una giuria pubblica. L’Industria Culturale di Adorno e Horkheimer ha raggiunto la sua massima elevazione: è riuscita a trasformare (anzi, a ridurre) la cultura in merce.
Anche l’errore diventa show. Andrea De Carlo (scrittore che stimo) straccia i fogli delle prove con fare isterico, lancia libri come un maestrino frustrato e usa parole dure per mortificare i concorrenti: voi avete fatto un compitino miserabile, siete stati spediti dal giornalino della parrocchia… Non sono un purista della scrittura. Anzi.
Sono un freelance, un mercenario della scrittura. Tu mi paghi e io scrivo. Ma riconosco il valore di chi, in un modo o in un altro, si impegna per raggiungere un risultato. E che punta al talent pur di dare un senso alla propria attività.
Non riesco a credere alla sincerità di questo format. E non sopporto la scrittura paragonata allo spettacolo pop. Tutto si livella a una De Filippi ormai stanca, ma che fa ancora breccia tra chi cerca un posto al sole e 15 minuti di celebrità.
Danza, canto, teatro e ora anche scrittura. Tutta l’arte diventa materiale da buttare nel tritacarne del tubo catoidico. Anzi, sulla padella dello schermo piatto. È davvero questo il suo destino? È davvero questo il destino della scrittura online?
Pomì, la comunicazione divide
Qualche anno fa, in una domenica di novembre, su Facebook ho scoperto la cartina dell’Italia firmata Pomì. Sì, la famosa marca del “O così. O Pomì”. Guarda.
Ora (e solo ora) si parla della terra dei fuochi. Le notizie fanno tremare il mercato e la Pomì vuole rassicurare i clienti: il pomodoro viene coltivato in:
- Emilia Romagna.
- Lombardia.
- Veneto.
- Piemonte.
- Non in Campania.
All’improvviso i sogni leghisti diventano realtà: l’Italia è divisa tra buoni e cattivi, tra nord e sud, tra inquinati e non. Ma cosa non faresti tu per rassicurare i clienti?
Però la Pianura Padana è la zona più inquinata d’Europa. Brutta storia. Io credo che non sia questo il modo giusto per comunicare valore. In questa cartina si nasconde un problema: il messaggio si basa sulla stigmatizzazione dell’altro.
Maledizione. Ma quante ne hai viste di crisi? Ma lo volete capire che è inutile negare, ignorare, creare account fake che diano risposte assurde e lasciare commenti con il tone of voice di un amministratore delegato o di una massaia?
Social media fail: Patrizia Pepe
Ho seguito con interesse la polemica nata sulla Facebook Fan Page di Patrizia Pepe a causa di una pubblicità molto particolare. Una fotografia che ritrae una ragazza troppo magra per essere definita semplicemente magra.
La querelle prende spunto da una campagna pubblicitaria lanciata da Patrizia Pepe che ha come protagonista modelle con il viso coperto o situate in luoghi particolari. Dalla foto incriminata, però, è scoppiata una discussione: qualcuno sulla Fan Page di Patrizia ha commentato l’immagine in maniera abbastanza diretta.
Patrizia Pepe (o meglio, chi si occupa della sua Facebook Fan Page) ha inizialmente bollato come provocazioni le osservazioni che parlavano di anoressia. Il botta e risposta è andato avanti per un po’ e qualcuno ha iniziato a far notare che il comportamento di Patrizia era anti-social con reazioni isteriche e stizzite.
Poi qualcuno ha detto ai community manager di mettere un freno, o forse si sono resi conto da soli che questo atteggiamento avrebbe portato a dei risultati di dubbia convenienza. Ad ogni modo hanno scritto un post in cui ammettono che anche Patrizia Pepe può imparare dai Social Media. E dove si scusano per i toni alterati.
Barilla e la comunicazione errata
Prevenire è meglio che curare. Ma quando la frittata è fatta c’è poco da scherzare: il rischio per il brand è alto. Soprattutto quando si tirano in ballo argomenti delicati.
Guido Barilla, presidente dell’omonimo marchio, ha scosso gli animi con una dichiarazione nei confronti dei gay. E la rete lo ha punito con rimproveri e insulti. Nel podcast della trasmissione La Zanzara troviamo le sue parole. Estrapolo:
“Io non farei mai uno spot con una famiglia gay, non per mancanza di rispetto agli omosessuali che hanno diritto di fare quello che vogliono, senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica”.
Il signor Barilla ha semplicemente detto che i gay non fanno parte del suo target principale. Punto. Lo ha detto come un lazzarone, certo, ma ha detto questo.
I social sono lo sfogo dell’uomo comune? A volte sì. Tutto va male, le giornate sono uno schifo, piove, non trovi parcheggio… ma scopri che su Twitter tutti se la prendono con la Barilla per un’affermazione contro i gay e ti lanci anche tu.
Le piattaforme social hanno uno scopo sommerso: dare voce al comune mortale, metterlo di fronte al potente. E ed è ovvio che i potenti diventano facili bersagli.
Inutile combattere in questi casi perché rischi solo di peggiorare la situazione. Hai una sola strada da seguire: chiedere scusa, proprio come ha fatto la famosa marca italiana. Guido ha chiesto scusa. Lo ha fatto prima con un tweet e poi con un video.
Altri esempi di cattiva comunicazione?
Alla fine Barilla non ha cercato di arrampicarsi sugli specchi e non ha risposto male alle persone che hanno sfregiato la bacheca Facebook con insulti e rimproveri.
Gli sciacalli sono sempre all’attacco. I concorrenti cercano sempre di ricamare sui tuoi errori, ma lo stile scivola in basso quando tiri lo sgambetto al concorrente. La fortuna gira, e il giorno dopo potrebbe essere un altro brand ad affrontare la gogna.
Ma sono sempre critiche serie? Oppure sono piccole polemiche da usare solo per scaricare la frustrazione di una vita imperfetta? Lascia la tua opinione nei commenti e approfondiamo insieme questo argomento.
Categoria: Marketing